I Giudici di Piazza Cavour hanno riconosciuto che M.C.B. era stata illegittimamente processata per la seconda volta nella vicenda che la vedeva accusata di sottrazione del figlio minore N.C.
Richiamandosi ai più recenti principi di diritto in materia di divieto di un secondo giudizio, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, con la sentenza n. 46599 del 26.10.2021, ha statuito che la ricorrente, dopo essere stata condannata in via definitiva ad euro 400,00 di multa per la violazione dell’art. 388 c.p. (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), non poteva per un fatto avente “il medesimo nucleo storico”, essere processata di nuovo, sebbene per la differente fattispecie di cui all’art. 574 c.p. (Sottrazione di persone incapaci), per la quale, invece, la sig.ra M.C.B. era stata condannata sia in primo grado, dal Tribunale di Messina, che in appello, dalla Corte di Appello territoriale (che si era limitata a riconoscere la continuazione tra le due fattispecie).
In particolare, alla ricorrente si contestava che – omettendo di ottemperare al decreto del Tribunale per i Minorenni di Messina che Le aveva ordinato la consegna del figlio minore cittadino moldavo al padre M.C. (cittadino italiano residente all’estero) per il rimpatrio in Moldavia – avesse, nel primo processo, dolosamente eluso il provvedimento del giudice dei minori e nel secondo, sottratto il minore al padre.
Di diverso avviso la Corte di Cassazione, secondo la quale, invece, devono trovare applicazione al caso di specie i principi da ultimo statuiti – in materia di divieto di un secondo giudizio ex art. 649 c.p. – dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 200/2016, la quale, richiamandosi all’art. 4 del Prot. 7 della CEDU, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, “nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato e il reato in relazione al quale è iniziato un nuovo procedimento.”.
Nel caso di specie, invero, in punto di fatto, la Suprema Corte ha ravvisato come il “nucleo storico delle due condotte fosse il medesimo”, mentre in punto di diritto ha riaffermato il superamento del principio secondo cui il mero concorso formale di più reati (che si concretezza allorché con una sola condotta risultano violate più disposizioni di legge) escluda l’operatività del principio del ne bis in idem.
Corollario di tali conclusioni, infine, è che il pubblico ministero “consuma” l’esercizio dell’azione penale per uno stesso fatto storico già allorché, per la prima volta, lo persegue, a prescindere dal qualificazione giuridica ad esso conferita. Diviene pertanto, onere della pubblica accusa quello di agire contestualmente per le plurime fattispecie di reato astrattamente integrate da una specifica condotta, pena il divieto di un secondo giudizio per perseguire, in tempi diversi, quella non fatta, ab initio, oggetto di imputazione.