Con la Sentenza in questione la Corte d’Appello peloritana ha ritenuto di poter riqualificare – peraltro senza invitare le parti ad interloquire formalmente sul punto – la condotta di un pubblico ufficiale originariamente contestata quale condotta integrante la fattispecie ex art. 319 quater c.p., nella diversa fattispecie di reato di cui all’art. 346 bis c.p.
La decisione è destinata a far discutere sotto entrambi i profili, quello procedurale – poiché è ormai pacifico il principio di diritto secondo il quale – salva l’ipotesi di omogeneità strutturale delle fattispecie non ricorrente nel caso di specie – laddove l’autorità giudicante intenda intervenire sulla qualificazione giuridica data al fatto reato, ha l’obbligo di invitare le parti ad interoloquire in merito; pena la violazione del diritto di difesa e la conseguenze nullità della decisione ex art. 178, comma 1°, lett. c), c.p.p. e quello sostanziale – atteso che le due fattispecie, proprio per la marcata eterogeneità strutturale, difficilmente possono risultare alternativamente configurabili rispetto ad una condotta data.
Nel caso di specie, si contestava originariamente alla Presidente pro tempore del Consiglio comunale di avere indotto il direttore amministrativo di una azienda partecipata ad interferire sulla selezione di lavoratori interinali affidati da tale azienda ad una società privata, al fine di ottenere l’assunzione di un autista di autobus, offrendo quale contropartita futuro appoggio politico per l’avanzamento in carriera.
La Corte d’Appello, dopo aver esaminato i motivi di gravame dell’imputato ed avere convenuto circa l’insussistenza di plurimi argomenti posti a fondamento del giudizio di responsabilità formulato dal Tribunale con la Sentenza di prime cure, è poi approdata – attraverso un percorso argomentativo tortuoso – ad affermare che la condotta descritta nel capo di imputazione integrerebbe gli estremi della fattispecie di traffico di influenze illecite rubricata all’art. 346 bis del codice penale.
L’approdo della Corte territoriale rivela non poche criticità, non risultando chiari, dal tenore della decisione, né i passaggi attraverso i quali sia possibile approdare ad una ipotesi di traffico di influenze illecite muovendo da quella originaria ex art. 319 quater c.p., né tantomeno l’individuazione delle figure attive, in qualità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
Infine, alla luce della versione vigente all’epoca dei fatti, della norma che disciplina la fattispecie ex art. 346 bis c.p., la Corte ha di fatto eluso l’obbligo – intrinseco nella diversa qualificazione giuridica prescelta – di individuare il vantaggio patrimoniale asseritamente recato a se o ad altri dal pubblico ufficiale, piuttosto che il “prezzo” della mediazione illecita.
LE CONCLUSIONI DELLA CORTE
In concreto, nello schema offerto in Sentenza dalla Corte, un pubblico ufficiale – il direttore amministrativo della municipalizzata – farebbe da intermediario tra un altro pubblico ufficiale – la Presidente del Consiglio comunale (che a sua volta agirebbe nell’interesse di un privato cittadino) – ed un imprenditore. In tale ricostruzione, già all’evidenza carente – nella persona del soggetto cui si è rivolto l’intermediario – della qualifica, a sua volta, di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, appare con ogni evidenza assente il pagamento del prezzo della intermediazione e/o comunque io vantaggio patrimoniale dei pubblici ufficiali.
Sotto diverso profilo, la riqualificazione della fattispecie originariamente contestata è avvenuta da parte della Corte territoriale, contravvenendo all’ormai pacifico principio di diritto secondo cui determina nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, l’adozione, da parte del Giudice procedente di una diversa qualificazione giuridica del fatto (non omogenea alla fattispecie originariamente contestata, come nel caso di specie), senza la espressa interlocuzione delle parti processuali sul punto.